Incontriamo la studentessa ucraina, iscritta a Scienze Politiche e Relazioni Internazionali, un anno dopo.
Era da pochi mesi rientrata dalla Campania nella sua madrepatria Karolina Chernoivan quando la Russia invade nuovamente l’Ucraina, il 24 febbraio 2022, e Putin dà inizio a una guerra che credeva, forse sperava, sarebbe durata solo poche settimane. Iscritta al secondo anno di Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a L’Orientale, Karolina, nell’aprile 2022, fonda, insieme ad un gruppo di amici ucraini residenti in Italia, una redazione on-line per aggiornare i follower italiani sull’andamento della guerra. Aprono il profilo Instagram Punto Interno UA, dove pubblicano notizie sul conflitto e video-reportage grazie ad alcuni giovani, tra cui la stessa Karolina, che vivono il conflitto sul campo. “Alla prima riunione on-line della redazione abbiamo invitato anche una collaboratrice di Rai News, che ci ha poi messi in contatto con un inviato in Ucraina, il giornalista Daniele Piervincenzi. Era da poco rientrato in Italia, ma sarebbe tornato in Ucraina. Non volevo restare nel mio villaggio, mi sentivo impotente, allora ho scritto a Daniele e mi sono proposta come interprete per le sue trasferte. La prima a cui ho partecipato, nel Donbass, è stata una delle più traumatiche, ma anche una di quelle che mi ha formato di più”. Un risvolto positivo della guerra totalmente inaspettato per la ventitreenne che solo un anno fa, durante l’intervista ad Ateneapoli, raccontava proprio del suo sogno di diventare inviata in zone di guerra. Ai media americani e inglesi preferisce quelli italiani per il rapporto che si riesce a creare dal punto di vista umano: “so che lavorare con loro sarebbe una grossa opportunità, ma non mi piace come si relazionano con le persone del posto, c’è più arroganza”. Avrebbe svolto questo impegno senza alcuna retribuzione, “lo faccio per la mia ideologia”, ma la Rai ha sempre sostenuto economicamente il suo lavoro. “La cosa bella, per me, è muovere anche un po’ l’economia locale. Quando posso, mi prendo un caffè nel bar vicino casa o mangio in qualche ristorante, così da rimettere in circolazione i soldi che ricevo”. Con la guerra è esponenzialmente cresciuta la solidarietà tra le persone rimaste a vivere in Ucraina, come se tutte le differenze di opinione sulla politica o altre questioni sociali fossero state annullate dall’avere un nemico comune. “Pensavano ci avrebbero distrutti, che avrebbero creato delle scissioni nella popolazione, e invece è successo proprio il contrario. Si fa volontariato, si raccolgono soldi da mandare ai militari, si fanno evacuare le famiglie dalle case vicine ai punti di scontro”.
La vita a Odessa
L’elettricità è tornata, si vive una ritrovata tranquillità, la vita a Odessa, dove vive Karolina, è molto diversa dallo scorso anno. “La prima volta che sono venuta a Odessa, dopo lo scoppio della guerra, c’erano posti di blocco ovunque, non si poteva prendere il telefono dalla tasca per la paranoia che si scattassero foto da diffondere on-line. Adesso la città è tornata alla sua quotidianità, i negozi sono aperti, le aziende lavorano e sta anche riaprendo il McDonald’s. Il fronte è lontano, anche se ogni tanto arrivano dei missili dal mare, ma la contraerea, per fortuna, ne intercetta la maggior parte. Mi sono trasferita in centro città così da poter uscire e condurre una vita più o meno normale quando non sono in trasferta. Questo mi ha salvata durante il blackout, quando avevamo solo due ore di luce al giorno”. Da quando lavora, le sue giornate hanno acquistato un nuovo valore: “aiuto la mia nazione a fare luce sulla situazione che viviamo; a dare voce a chi non ne ha più una a causa di questo conflitto. Sono spesso in trasferta, solo adesso ho avuto una settimana di riposo tra un viaggio e l’altro. Quando siamo al fronte, nel Donbass, la zona più calda del conflitto, ci svegliamo la mattina molto presto. Il mio compito è quello di organizzare gli incontri con i militari per i reportage dal campo e tradurre le interviste. Quando lavoro mi sento viva, mentre quando sono in pausa a Odessa, a casa mia, mi sento un vegetale, conto le ore per tornare al fronte”.
Lo stress post-traumatico
Gran parte della sua famiglia vive in Italia, tra cui la madre, la nonna e la sorella della nonna, la persona che ci racconta averla cresciuta in Ucraina. Fino a qualche mese fa Karolina condivideva la stanza con la sua migliore amica, ma per lei la situazione si era fatta insostenibile e ha preferito trasferirsi in Polonia. Adesso le giornate in casa sono molto, troppo silenziose. Karolina è tornata in Italia un paio di volte in questi dodici mesi, e sempre per pochi giorni, il necessario per passare un po’ di tempo con la sua famiglia e prendere una pausa dai bombardamenti che ogni giorno mettono a rischio la sua vita. “Sono tornata prima a Natale e poi una settimana in estate, ma entrambe le volte gestire i sintomi dello stress post-traumatico non è stato semplice. A Capodanno, il rumore dei fuochi d’artificio mi faceva impazzire. Quando sono arrivata in stazione centrale, questa estate, al rombo di un aereo che passava mi sono rannicchiata a terra coprendomi la testa”. Quando ci si abitua a reagire al pericolo in qualsiasi momento, lo si fa anche quando il pericolo non c’è. Affrontare la morte delle persone che non riescono a sopravvivere alle bombe è più difficile degli stessi bombardamenti. I traumi psicologici sono pesanti tanto quanto quelli fisici, racconta Karolina, che ha trascorso lo scorso mese di gennaio tra incontri con la psicologa e visite con lo psichiatra per un crollo nervoso. Adesso l’impegno a non ricaderci una seconda volta attraverso una routine quotidiana, come mangiare, fare la doccia sempre alla stessa ora, lavorare per aiutare la propria mente a contrastare gli orrori fuori dalla finestra. Anche studiare, nonostante il tempo da dedicare sia poco e l’attenzione bassa, diventa un modo per tenersi impegnata: “con l’inizio della guerra avevo presentato la rinuncia agli studi, ma qualcosa evidentemente non è andata a buon fine e qualche settimana fa ho verificato di essere ancora iscritta all’università. Un segno del destino. Proverò a dare qualche esame per quello che riuscirò. Per migliorare nel lavoro, invece, sto approfondendo la situazione geo-politica dell’Ucraina”. A chi le chiede perché lo fa, perché sceglie ogni giorno di vivere la guerra da così vicino quando avrebbe la possibilità di tornare dalla sua famiglia in Italia, risponde: “ho tre mamme: quella biologica, la sorella di mia nonna che mi ha cresciuta qui, e l’Ucraina, che mi ha cresciuta con le sue canzoni e i suoi paesaggi. Questa mia terza mamma oggi sta male, ha un cancro, e non credo che nessuno vorrebbe lasciare la propria madre in queste difficoltà”.
Una pace “giusta”
In Italia il dibattito è molto acceso a proposito di quanto tempo continuerà ad andare avanti il conflitto, se continuare o meno a supportare economicamente e militarmente gli ucraini, ma soprattutto a chi spetta la responsabilità di fare il primo passo verso una possibile risoluzione diplomatica del conflitto. La prospettiva, secondo molti analisti e giornalisti, è quella di una guerra destinata a durare ancora a lungo. “Quello che vedono gli italiani è quello che vedo anch’io. Sarà lunga perché l’obiettivo è riprendersi tutti i territori, Crimea compresa. Bisogna vedere quali sono i piani della Russia e quanto sia disponibile a mandare carne da macello qua. È una cosa disastrosa, a Bakhmut stiamo avendo tutti tantissime perdite, un massacro totale. Sembra di guardare i video della Prima guerra mondiale. Il problema è che non possiamo discutere di Putin come di una persona ragionevole, dotata di buon senso, altrimenti non saremmo a questo punto. Potrebbe dichiarare la fine della guerra da un momento all’altro e in Russia a nessuno importerebbe nulla. È già successo nella prima guerra in Cecenia, quando si è ritirata dal conflitto, e potrebbe farlo anche stavolta, ma a oggi nessuno capisce quali siano i suoi obiettivi. La presa di Bakhmut, se pure dovesse riuscire, sarebbe una vittoria minuscola, più simbolica che strategica”. Continua Karolina a proposito della pace: “siamo noi a volerla più di tutti, ma per essere definita tale deve essere una pace giusta, non la costrizione alla resa. Se il governo ci obbligasse a fermarci, i carri armati e i militari al fronte girerebbero i propri mezzi contro la capitale; scoppierebbe una rivolta. Abbiamo perso troppe vite, sia di civili che di militari. Per cosa avrebbero combattuto? Siamo pronti alle trattative di pace, ma alle nostre condizioni, con il ritiro totale dai territori annessi”.