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Aborto, continuo divenire

Aborto, continuo divenire

Il punto con Marta Tomasi a 45 anni dall’entrata in vigore della legge 194

«L’utero è mio e lo gestisco io». La rivendicazione, risuonata in tante manifestazioni di fine anni Sessanta, venne almeno in parte raccolta dal Parlamento italiano con la legge 194 (Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza). La legge sull’aborto entrò in vigore il 22 maggio 1978. L’esito del referendum del 1981 ne ribadì il consenso popolare. Ma tuttora sembrano esserci degli ostacoli alla piena attuazione della 194.

Dottoressa Tomasi, la 194 consente alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza in una struttura pubblica entro i primi 90 giorni di gestazione per motivi di salute, economici, sociali o familiari e, dopo questo termine, per ragioni terapeutiche. Oggi, in Italia, questo diritto della donna è garantito sempre e in ogni regione? Quali sono i numeri? «Dalla relazione annuale sull’attuazione della legge emerge che, a partire dagli anni ‘80, le interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) sono in calo. Nel 2020 (dati disponibili più recenti) si sono registrate circa 66 mila IVG, di cui quasi la metà nel Nord Italia, e si stimano ancora tra 10 e 13 mila aborti clandestini.
Sulla variabilità territoriale, il quadro è complesso. La maggioranza delle IVG, infatti, è effettuata nel territorio di residenza delle donne, che quindi non sembrano costrette a spostarsi. Si registrano però differenze in merito alle strutture di riferimento, ai tempi di attesa, al mese di gestazione e al luogo dell’intervento. Un esempio di disomogeneità è che in alcune regioni (9) i punti nei quali è possibile ottenere la prestazione sono il 70% delle sedi ospedaliere, mentre in altri territori (come la Campania e la Provincia di Bolzano), la percentuale scende sotto il 30%».

Quanto incide l’obiezione di coscienza del personale sanitario e com’è cambiata in questi 45 anni?. «L’obiezione di coscienza, garantita dalla legge 194, ha prodotto, soprattutto a partire dai primi anni 2000, un impatto significativo sull’accesso all’IVG da parte delle donne e sul carico di lavoro degli operatori sanitari non obiettori. Nel 2020, la quota di obiezione di coscienza per professioni sanitarie coinvolte nelle procedure di IVG risulta per i ginecologi del 64,6%, per anestesisti del 44,6% e per personale non medico del 36,2%. La situazione potrebbe anche essere peggiore di quello che emerge dalla relazione ufficiale. Infatti, secondo il report Mai dati, curato dall’Associazione Luca Coscioni, 72 ospedali italiani avrebbero una quota tra 80% e 100% di obiettori di coscienza».

La 194 intende anche assicurare servizi socio-sanitari e iniziative per evitare che per la donna l’aborto sia l’unica soluzione a una maternità inattesa, indesiderata, difficile. Queste alternative trovano concretezza? «Tra il 1983 e il 2020 si è rafforzato il ruolo dei consultori familiari, che sono fra le strutture più attive, seppure non in tutta Italia. I consultori svolgono un ruolo cruciale nella prevenzione dell’IVG e nel supporto alle donne che decidono di interrompere la gravidanza. Offrono il counselling, anche psicosociale, prima della procedura e il counselling contraccettivo post-IVG. La difficoltà è calibrare e modulare le azioni di supporto per non condizionare e limitare la libertà di scelta della donna».

In generale, qual è l’orientamento in Europa e nel Mondo?. «Quello dell’IVG è un tema in continuo divenire, caratterizzato da improvvisi movimenti, anche dove e quando le cose appaiono ormai consolidate. Penso agli Stati Uniti, dove, lo scorso giugno, con la criticatissima sentenza Dobbs, la Corte suprema ha rovesciato una decisione precedente, risalente al 1973, e negato che il diritto all’aborto si possa derivare dal testo della Costituzione federale. Di altro segno il caso dell’Irlanda, dove un referendum del 2018 ha consentito di cancellare il riferimento al diritto alla vita del concepito che era stato inserito nel testo della Costituzione nel 1983».

Tre anni fa la Polonia ha dichiarato incostituzionale la legge che consentiva l’interruzione di gravidanza nel caso in cui i test prenatali rilevassero gravi anomalie nel feto. Su tali tematiche ogni stato ha piena sovranità o c’è qualche spazio di manovra per il diritto internazionale?. «Sono temi delicati, su cui la sovranità degli Stati gioca un ruolo determinante. Fra le corti internazionali, tuttavia, la Corte europea dei Diritti dell’uomo è già stata chiamata a esprimersi in più occasioni su questioni legate all’IVG. La Polonia, in particolare, è stata ripetutamente condannata per aver introdotto ostacoli di fatto all’accesso all’IVG. Dopo la sentenza del tribunale costituzionale polacco, numerosi ricorsi sono stati presentati alla Corte internazionale. Vedremo con quali esiti».

Marta Tomasi del progetto BioDiritto ha curato, assieme alla collega Lucia Busatta, al collega Simone Penasa e ad altre docenti, un numero speciale di BioLaw Journal che fotografa quanto accade nei vari paesi tra autodeterminazione della donna in attesa e diritto di venire al mondo.

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