HomeAttualitàFabio Fazio: autorevolezza e popolarità “una contaminazione difficile ma possibile”

Fabio Fazio: autorevolezza e popolarità “una contaminazione difficile ma possibile”

Fabio Fazio: autorevolezza e popolarità “una contaminazione difficile ma possibile”

Il noto conduttore e autore Rai all’inaugurazione del Master in Divulgazione scientifica e comunicazione nella Sanità Pubblica di Veterinaria

“La trasmissione era condotta a Milano, già fortemente colpita in quelle settimane, in anticipo sul resto d’Italia. Mi dissero: se vuoi, prova ad andare in onda. Se non te la senti, lascia stare. Realizzai che in quel periodo così difficile la televisione era chiamata a svolgere la sua funzione di servizio pubblico e non ebbi dubbi neanche per un secondo. Il fatto che non ci fosse pubblico in studio era straniante, ma era il meno”. Parole di Fabio Fazio, conduttore e autore Rai, che il 18 aprile è stato ospite, sia pure in collegamento da remoto, nell’Aula Miranda del Dipartimento federiciano di Veterinaria per l’inaugurazione del Master in Divulgazione scientifica e comunicazione nella Sanità Pubblica, attivato quest’anno per la prima volta su iniziativa, in particolare, del prof. Sante Roperto. Fazio ha ricordato quel che accadde tra la fine dell’inverno e l’inizio della primavera del 2020, agli albori – almeno in Italia – dell’epidemia di coronavirus che già da tempo si era diffusa in Cina. “Milano – ha proseguito – diventò una città blindata. I miei figli e mia moglie riuscirono a spostarsi in Liguria, dove abbiamo una casa con giardino. Io restai a Milano in un condominio vicino agli ospedali. Sentivo le ambulanze e a volte il portiere mi avvisava di non uscire perché era mancato un condomino. Mi sembrò che il mio lavoro assumesse un senso nuovo e importante: garantire il collegamento tra la realtà e le persone. Un compito tanto più importante perché le altre trasmissioni di intrattenimento avevano chiuso”. La presenza costante di Roberto Burioni, l’infettivologo che ha collezionato apparizioni in tv con Fazio e che è stata una delle peculiarità della sua trasmissione nel periodo della pandemia, è nata perché “alcune settimane prima che si manifestasse anche in Italia il Covid lui aveva presentato un libro da noi ed aveva accennato al virus”. Ha ricordato ancora Fazio: “Fu in quei giorni che nacque l’esigenza di informare il pubblico e tenerlo per mano. Io avevo proposto anche un programma no stop per darmi il cambio con altri colleghi e tenere compagnia a chi stava chiuso in casa ventiquattro ore su ventiquattro. Per chi viveva dentro casa, magari in appartamenti poco confortevoli e luminosi, sarebbe stato importante non essere abbandonato. Io uscivo per la spesa al supermercato ed avevo il permesso per andare in tv”. Non furono giorni facili, ha detto Fazio, neanche dal punto di vista dell’organizzazione del programma: “Dalla seconda settimana non c’erano neanche più gli operatori di telecamera. Si faceva tutto con le telecamere fisse. Laddove mediamente c’erano 150 persone, ormai ne lavoravano 12. Eppure siamo riusciti a proseguire e a dare un senso alla nostra presenza in tv”. Recentemente, come ha ricordato a Fazio il prof. Roperto, Bill Gates ha detto che per evitare la prossima pandemia serviranno divulgatori. Quali sono le caratteristiche indispensabili a chi voglia svolgere questa professione? “David Quammen, l’autore di Spillover – ha risposto il conduttore di Che tempo che fa – è un divulgatore. Un giornalista molto informato ed accurato che ha dedotto quello che sarebbe potuto accadere quando ai più sembrava impensabile. Il pipistrello vettore ed un mercato della Cina. Per tornare alla domanda: è chiaro che in tutti i mestieri e in tutte le professioni l’utilità sia data dalle persone che la svolgono. Non basta il titolo di divulgatore, medico, professore. Conta come svolgiamo il nostro mestiere, l’etica che ci guida. Formarsi come divulgatori significa sentire l’esigenza di divulgare e credere nella funzione dei media di svolgere questa azione”.

Il divulgatore scientifico “deve agganciare tutti”

Ha poi confessato: “Sono pessimista. Non credo ci sia, oltre i proclami, questa sensibilità pedagogica. Si è persa gran parte della funzione svolta dalla tv nei primi decenni della vita della televisione. Misuriamo le cose con criteri di mercato che hanno poco a che fare con il lungo termine. Manca autorevolezza laddove bisogna provare a coniugare autorevolezza e popolarità. Questa relazione, questa contaminazione tra autorevolezza e popolarità è difficile ma possibile. Spesso l’alibi è: la gente vuole cose sciocche o poco approfondite. Questo adagio purtroppo abita come un alibi la nostra quotidianità. Quindi la risposta è che sì, certamente i divulgatori servono, ma se guardiamo quali sono le notizie dei giornali vediamo quanto squilibrata sia la distribuzione tra lo spazio di approfondimento ed il gossip”. Divagazione personale: “Ho una figlia che vuol fare il veterinario ed un altro che si accinge a sostenere l’esame di maturità e credo che scuola ed università siano oggi le uniche possibilità di ridare spazio ai pensieri e al tempo. Ha proseguito: “Viviamo in una società nella quale ci si può permettere di non sapere nullaEppure la mia generazione ha guardato alla scuola e all’università come ad uno strumento di emancipazione. Io sono stato il primo laureato in famiglia. Oggi la nostra società non promuove questi valori. Promuove chi non sa fare nulla o il denaro. Dà spazio a chi rappresenta solo sé stesso sui social da mattina a sera con un chiaro disinteresse collettivo. È un problema serio perché la democrazia non è uno vale uno, ma è un sistema che garantisce a tutti gli strumenti per migliorarsi”. Una caratteristica del divulgatore scientifico, ha aggiunto, è che “deve agganciare tuttideve creare un rapporto di fiducia e confidenza con il pubblico. Attraverso quel rapporto si veicolano contenuti. Pensiamo a Piero Angela e a suo figlio Alberto”.
Fabrizio Geremicca

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