UniTrento ha collaborato a una ricerca dell’Università di Jilin per mappare la composizione chimica della superficie lunare
Osservata, ammirata, venerata, infine conquistata. Da sempre, la Luna è oggetto dell’interesse di chi la osserva da quaggiù. Così distante, eppure così vicina, visto che i 384.400 chilometri che la separano dalla Terra (calcolati come media tra perigeo e apogeo) sono un’inezia rispetto alla distanza dagli altri corpi celesti. Per questo, nel corso di poco più di cinquant’anni, sono state ben dodici le persone che hanno avuto l’onore di calcare il suolo lunare. Alle missioni per così dire “umane” si sono poi aggiunte quelle (più economiche) per la semplice esplorazione e raccolta di campioni.
Proprio i campioni raccolti in alcune di queste missioni – le statunitensi Apollo, le russe Luna e la cinese Chang’e-5 – sono stati ora impiegati per studiare la composizione chimica della superficie del nostro satellite, fino a produrre una nuova, precisissima mappa. Lo studio, pubblicato a novembre da Nature Communications, è stato condotto congiuntamente dall’Università di Jilin, dagli osservatori astronomici dell’Accademia cinese delle Scienze, dall’Università di Trento, dall’Università dell’Islanda e da altri istituti di ricerca.
Ne parliamo con Lorenzo Bruzzone, ordinario al Dipartimento di Ingegneria e Scienza dell’Informazione e referente dell’Università di Trento all’interno del progetto.
Professor Bruzzone, cosa ci racconta questa nuova mappa riguardo al nostro satellite?
«La mappa raffigura la distribuzione delle componenti chimiche sulla superficie della Luna e migliora in modo significativo le informazioni a nostra disposizione. Tra le altre cose, evidenzia per la prima volta la presenza di attività vulcanica in un periodo relativamente recente dell’evoluzione della Luna, circa 2 miliardi di anni fa. Questo rende disponibili nuovi indizi sulla storia evolutiva recente del nostro satellite e potrebbe in futuro incoraggiare nuove ricerche, ad esempio sull’attività magmatica e sull’evoluzione termica nel periodo recente della Luna, oppure potrebbe aiutarci a individuare le aree più interessanti per l’allunaggio e per la raccolta di campioni».
Come si è svolta la ricerca e quali tecnologie sono state applicate?
«La mappa riporta alla scala globale le scoperte della missione cinese Chang’e 5, atterrata sulla Luna a dicembre 2020 e rientrata sulla Terra con un carico di regoliti lunari. I nuovi campioni di regoliti, i più giovani mai raccolti sul nostro satellite, hanno messo in luce vari nuovi elementi inclusa la presenza di una nuova roccia basaltica lunare. Nella nostra ricerca i campioni sono stati integrati con quelli prelevati dalle missioni statunitensi Apollo e russe Luna per generare un database di dati di riferimento. Questo database è stato poi utilizzato per addestrare un algoritmo di intelligenza artificiale a riconoscere le varie composizioni chimiche elaborando con complesse metodologie di unmixing spettrale le immagini acquisite sull’intera superficie lunare dalla sonda orbitante giapponese Selene (Kaguya).
Ciò ha reso possibile la generazione automatica di una nuova mappa del nostro satellite che riporta in modo molto accurato la distribuzione dei diversi tipi di materiali, inclusi quelli già noti e quelli recentemente scoperti».
Qual è il ruolo dei partner coinvolti nel progetto? Quali aspetti ha curato l’Università di Trento?
«Come in larga parte di queste collaborazioni la ricerca è il risultato di un lavoro di gruppo che ha permesso di mettere a fattor comune diverse competenze complementari. Gli enti di ricerca cinesi, con la Jilin University che ha coordinato lo studio, hanno integrato i dati sui campioni prelevati sulla Luna dalla sonda Chang’e 5 con i dati dei campioni delle missioni Apollo e Luna e si sono occupati della fase di elaborazione delle immagini multispettrali. L’Università di Trento e quella dell’Islanda hanno collaborato all’impostazione della ricerca, occupandosi di definire le metodologie di Ai utilizzate per l’elaborazione della nuova mappa e di esaminare criticamente le mappe ottenute e soprattutto il loro impatto scientifico».
Quali ambiti disciplinari sono interessati dalla collaborazione con l’Università di Jilin?
«Sulla tematica dello spazio collaboriamo con la Jilin University da tanto tempo. La guida di questa ricerca è della professoressa Yang Chen, che ha sviluppato a Trento parte del suo dottorato e successivamente il post-doc. La collaborazione riguarda le tecnologie dell’intelligenza artificiale nell’ambito dell’osservazione della Terra e dell’esplorazione planetaria. Assieme abbiamo sviluppato varie ricerche che hanno portato a pubblicazioni scientifiche di primo piano, sia in ambito strettamente settoriale (prevalentemente legate a nuovi metodi di machine learning per l’analisi di dati telerilevati satellitari), sia in ambito scientifico più generale (ad esempio abbiamo lavorato assieme alla produzione di una mappa globale dei crateri lunari che è stata pubblicata sempre su Nature Communications 3 anni fa)».
Il prossimo 25 gennaio per la prima volta un velivolo di un’azienda privata toccherà il suolo lunare. Quali prospettive si aprono per la ricerca scientifica?
«La Luna è ormai oggetto di numerose iniziative di esplorazione, di sviluppo di attività legate alla presenza umana e di piani legati al possibile sfruttamento, ad esempio in ambito minerario. L’investimento dei privati nell’esplorazione spaziale in generale, e in particolare sulla Luna, non potrà fare altro che incrementare le opportunità di acquisire conoscenza sul nostro satellite naturale che nasconde ancora molti aspetti misteriosi di estrema rilevanza scientifica e di notevole potenziale ricaduta applicativa».