HomeAttualitàScontro Trump – Zelensky in tv: è la fine della diplomazia?

Scontro Trump – Zelensky in tv: è la fine della diplomazia?

L’incontro – presto trasformatosi in scontro – tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e quello dell’Ucraina, Volodymyr Zelensky, che si è svolto negli Usa ad inizio marzo, ha segnato secondo alcuni commentatori la fine della diplomazia per come l’abbiamo conosciuta nei secoli. Parole dure e brutali, atteggiamento platealmente ostile, tono di voce spesso fuori scala da parte di Trump. Il presidente degli Stati Uniti ha azzerato ogni formalismo ed ogni etichetta.
Ateneapoli ha chiesto al prof. Settimio Stallone, che insegna Storia delle Relazioni internazionali ed è Coordinatore dei Corsi di Laurea Triennale in Scienze Politiche e Magistrale in Relazioni internazionali e analisi di scenario dell’Università Federico II, di commentare la vicenda.
“In verità – dice – non è che in passato siano mancati confronti altrettanto aspri e duri, colloqui burrascosi nell’ambito delle relazioni internazionali. Noi italiani abbiamo un esempio: nel 1974 Aldo Moro ebbe un incontro con Henry Kissinger, il segretario di Stato americano, che lo sconvolse al punto da lasciare immediatamente gli Stati Uniti e tornare in Italia. Era il periodo nel quale Moro costruiva il progetto di apertura al partito comunista italiano nel governo, che Kissinger e l’amministrazione Nixon osteggiavano profondamente. Potrei citare diversi altri esempi. Anche in passato, dunque, è capitato che il formalismo degli incontri diplomatici abbia ceduto il passo a conversazioni ai limiti della rissa verbale. La novità di quanto accaduto tra Zelensky e Trump è che tutto è stato ripreso, secondo dopo secondo, dalle tv.
La rottura degli schemi e delle regole della diplomazia è avvenuta in pubblico e non in privato, come accadeva talvolta in passato. Trump, imprenditore e uomo di spettacolo, prima ancora che presidente degli Stati Uniti, ha voluto dare una dimostrazione di Open Diplomacy e chiarezza brutale in primis all’opinione pubblica del suo Paese”.
Il tutto, va avanti il docente federiciano, “si spiega anche con la circostanza che la dirigenza politica è cambiata. Un tempo c’erano i politici di professione. Oggi molto meno. Di Trump si è detto. Lo stesso Zelensky è un ex attore comico, che poi è entrato in politica”. Aiuta a capire lo scontro verbale verificatosi tra i due presidenti anche la storia dei loro precedenti rapporti. Zelensky, riflette il prof. Stallone, “è visto da Trump come un uomo che era molto legato alla presidenza Biden e come uno che ha sostenuto Kamala Harris, l’antagonista del presidente in carica nella corsa alla Casa Bianca conclusasi mesi fa. Ci sono poi ruggini determinate dalla circostanza che Zelensky alcuni anni fa non fece nulla per aiutare Trump a cercare prove a carico del figlio di Biden, sul quale gravava il sospetto di aver gestito affari piuttosto opachi in Ucraina”.

Allontanare la Russia dalla Cina

Al di là dei rancori personali “è chiaro che si sono confrontate due tesi. Quella di Trump è che la guerra in Ucraina debba cessare al più presto, qualunque cosa ciò comporti per l’integrità territoriale del Paese. Gli Stati Uniti si erano posti gli obiettivi di vendere all’Europa più sistemi di armi e gas. Obiettivi tutto sommato raggiunti. Le armi sono state vendute ed il cordone ombelicale che legava l’Europa alla Russia per la fornitura di gas è stato reciso. Il Vecchio Continente si è rivolto ad altre aree geografiche, ad altri Paesi con i quali sono stati stipulati contratti pluriennali.
Centrati i due obiettivi di cui sopra, Trump ora ha un problema diverso ed è quello di allontanare la Russia dalla Cina. Sotto questo aspetto, mutato il contesto, si ritrova davanti allo stesso problema che ebbe Nixon. Una concordanza di intenti tra Cina e Russia potrebbe rappresentare un pericolo per gli Stati Uniti e la guerra in corso può certamente spingere sempre più la Russia a cercare una interlocuzione molto stretta con la Cina sotto i profili della strategia militare, diplomatica e degli scambi economici. La Russia ha bisogno della Cina, in questa fase, e la Cina può trovare in Russia il petrolio ed il gas naturale del quale ha bisogno”.
Quali potrebbero dunque essere le condizioni della tregua imposta da Trump a Zelensky? “Nei contatti tra Stati Uniti e Russia che si sono avuti in Arabia Saudita e in Turchia pare non ci sia stato spazio per le richieste ucraine e siano state assecondate soprattutto quelle russe. La tregua voluta da Trump oggi significherebbe il congelamento delle operazioni militari lungo la linea del fronte. Detto in altri termini, i territori conquistati dall’esercito di Putin resterebbero alla Russia. In più l’Ucraina resterebbe fuori dalla Nato e Zelensky non sarebbe più il presidente”.
Sul tappeto, resta, in ogni caso, la questione della forza di interposizione che dovrebbe garantire la tregua. “Gli Stati Uniti – sottolinea il docente – non hanno intenzione di mandare lì le proprie truppe. L’Europa dice che vuol farlo, ma senza un appoggio da parte degli Stati Uniti non pare che sia in grado di svolgere un ruolo efficace. Si parla di 30.000 uomini e non si capisce a cosa serviranno su un fronte così ampio come quello che divide le truppe dell’Ucraina da quelle della Russia.
La quale, a sua volta, parrebbe poco intenzionata ad accettare truppe di Paesi della Nato come forza d’interposizione, ma potrebbe dire sì ad un contingente dell’Onu. È tutto ancora piuttosto confuso, al pari del piano di riarmo dell’Europa sostenuto da Ursula von der Leyen. Non si capisce a quali condizioni e come finanziarlo. Abbiamo Paesi dell’Unione Europea con una fortissima pressione fiscale ed una elevatissima esposizione debitoria. Nessun leader europeo è davvero disposto ad appesantire le tasse per finanziare il riarmo, con l’eccezione forse di quelli dei Paesi baltici. L’idea, poi, di spendere i fondi di coesione per il riarmo piace pochissimo a Paesi come l’Italia, la Grecia, la Spagna, che tra l’altro non percepiscono direttamente il pericolo russo. Senza dimenticare, infine, che nell’Unione Europea ci sono Paesi come l’Ungheria e la Slovacchia che sono ostili ad una idea dell’incremento delle spese militari in funzione antirussa”.

L’ampliamento ad Est della Nato tra le radici del conflitto

Il futuro è insomma ricco d’incognite. Quanto alla ricostruzione storica degli eventi, secondo Stallone c’è una certezza ed è questa: “L’ampliamento ad Est della Nato ha certamente creato i presupposti di quanto sta accadendo ora. Nel momento della riunificazione della Germania, Gorbaciov strappò la promessa che la Nato non si sarebbe mai spinta oltre il territorio della ex Repubblica Democratica Tedesca. Dal 1999 in poi, però, con l’inclusione nella Nato della Repubblica Ceca, dell’Ungheria e della Polonia, è iniziata una inarrestabile avanzata verso Est della Nato. La Russia inizialmente non era in grado di opporsi a questo processo, poi la situazione è cambiata.
Putin nella Conferenza di Monaco sulla sicurezza disse esplicitamente che per il suo Paese l’ampliamento verso Est della Nato rappresentava una minaccia. La Russia ha dunque assunto una postura aggressiva, consapevole tra l’altro che c’erano piani per estendere il dispositivo della Nato verso l’Ucraina e la zona del Caucaso. Si aggiunga che, a partire dalla fine dell’Urss, sono rimasti irrisolti diversi aspetti del rapporto tra Russia ed Ucraina. Tutto ciò ha portato Putin a valutare che la situazione sarebbe stata risolvibile solo militarmente”. L’autocrate russo, sottolinea il prof. Stallone, “sta certamente vincendo la guerra sotto il profilo militare, ma la sta perdendo politicamente. Si ritrova dopo tre anni con una manciata di territori in più, ma l’Ucraina resta uno Stato sovrano ed indipendente.
Economicamente, poi, la guerra ha dissanguato la Russia. Tralascio l’aspetto più importante, quello della catastrofe umanitaria di tanti morti e feriti su entrambi i fronti e di interi territori devastati, bombardati ed inquinati”.
Fabrizio Geremicca
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Ateneapoli – n. 5 – 2025 – Pagina 8

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