Si può solo provare a immaginare quanta amarezza e preoccupazione per il futuro serbava dentro di sé Giorgio Bloch, medico e già libero docente all’università di Padova, mentre alla fine degli anni Trenta poggiava i piedi per la prima volta sul suolo di Cuba, da cui avrebbe richiesto un visto permanente per gli Stati Uniti. Fuggito dall’Italia a causa delle leggi antisemite, fece parte di quella massiccia fuga di cervelli obbligata che interessò centinaia di professori, artisti, scienziati e scrittori, che furono costretti a emigrare all’estero durante il ventennio fascista.
Il nome di Bloch è emerso dalle ricerche condotte da Patrizia Guarnieri, professoressa di storia contemporanea all’università di Firenze e responsabile scientifica del progetto Intellettuali in fuga dall’Italia fascista, nato nel 2019 con lo scopo di approfondire le Vite in movimento di quegli uomini e quelle donne che furono costretti a “dirottare” i loro percorsi accademici e professionali verso altri paesi a causa delle leggi razziali.
“La storia di Giorgio Bloch mi ha incuriosita perché il suo nome compare in diversi archivi universitari, tra gli iscritti all’Ordine dei medici nel secondo Dopoguerra, nonché in alcune pubblicazioni scientifiche; eppure, esso non si trova nell’elenco ormai noto dei docenti espulsi dalle università in seguito alle leggi del 1938”, spiega la professoressa Guarnieri. “Ho deciso di iniziare così un’indagine più approfondita sulla sua storia, che mi ha condotta anche nell’area di New York, dove sono riuscita ad entrare in contatto con una parente ancora in vita”.
Laureato in medicina all’università di Firenze, Bloch proseguì la sua formazione presso l’ateneo patavino. Fece parte del Battaglione degli studenti di medicina e chirurgia che venne ospitato nella città del Santo durante la Grande guerra. Nel 1923 diresse la sezione di Urologia nella Clinica chirurgica di Padova e nel 1925 ottenne l’abilitazione alla libera docenza, un titolo che gli consentiva di tenere corsi all’interno dell’università a titolo privato. Nel 1934 Bloch chiese all’università di Padova il rinnovo del suo incarico. Fu allora che la storia iniziò a complicarsi.
“Questa è la peculiarità della storia di Giorgio Bloch: egli venne allontanato prima dell’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938”, spiega la professoressa Guarnieri. “Ciò avvenne nel 1936, quando gli venne negato il rinnovo della libera docenza. Per questo motivo il suo nome non compare negli elenchi ufficiali dei docenti ebrei espulsi dalle università durante il regime fascista“.
Ancora più sorprendente è stato scoprire le modalità con cui avvenne l’allontanamento. Infatti, la commissione di facoltà che doveva approvare il rinnovo della libera docenza di Bloch aveva dato parere positivo all’unanimità. Eppure, come dimostrano alcuni documenti conservati nell’Archivio centrale di stato, l’allora rettore Carlo Anti attese ben sette mesi prima di trasmettere al Ministero dell’educazione nazionale tale parare, necessario per chiedere ufficialmente la conferma dell’incarico. La richiesta, inoltre, era accompagnata da alcune dichiarazioni in cui veniva fatto presente che Bloch non aveva rinnovato la tessera del PNF per l’anno in corso – il 1935 – e che risultava “di sentimenti antifascisti, sentimenti che non sembra siano mutati in seguito”. Per ben due anni, dunque, Bloch aveva atteso invano, sperando di ottenere il rinnovo dell’incarico. Ottenuto il responso negativo, venne ufficialmente espulso dai ruoli”.
Dopo aver trascorso due anni all’Ospedale di Bibbiena, il medico venne allontanato anche da lì, con l’entrata in vigore delle leggi razziali, nel 1938. “Sposato con due figli piccoli, non vide altra soluzione che partire per gli Stati Uniti da solo”, continua Guarnieri. “Sua moglie – Alessandra Celli – non era ebrea; quindi, rimase inizialmente in Italia con i bambini. Raggiunse il marito nel 1940, affidando i figli alle cure dei nonni. Nel 1947, i piccoli Anna e Daniele si riunirono finalmente ai genitori in America, i quali nel frattempo avevano avuto un’altra figlia, di nome Barbara”.
Bloch lavorò come medico tra New York e il New Jersey fino all’inizio degli anni Cinquanta, sempre però con il desiderio di rientrare in Italia. “Approfondendo le Vite in movimento si scopre che spesso, durante il Dopoguerra, gli intellettuali emigrati all’estero durante il fascismo organizzassero dei brevi viaggi in Italia, in solitaria, come per vedere che aria tirasse”, spiega Guarnieri. “Questo è anche il caso di Giorgio Bloch, che fece lo stesso nel corso del 1949”. Due anni dopo, nel 1951, i Bloch lasciarono gli Stati Uniti e si ritrasferirono finalmente a Firenze. La famiglia, comunque, era destinata a dividersi ancora. I genitori, infatti, restarono in Italia, mentre tutti e tre i figli tornarono a stabilirsi negli Stati Uniti.
In Italia Bloch riprese a lavorare negli ospedali e nelle case di cura private, prima a Firenze, e poi a Bibbiena, dove sarebbe morto nel 1979. L’assenza del suo nome dall’elenco dei docenti espulsi a causa delle leggi razziali gli impedì invece di avvalersi di una legge riparativa emanata nel 1944, che consentiva a quanti fossero stati allontanati durante il fascismo di riprendere i loro incarichi universitari.
“All’epoca, chi sfogliava il fascicolo di Bloch, concludeva che egli non avesse ottenuto la conferma dell’abilitazione alla libera docenza nel 1936 per mancanza di competenze o di talento”, osserva la professoressa Guarnieri. “Al contrario, le informazioni conservate nei documenti dell’epoca raccontano una storia completamente diversa. Credo che questo sia un punto molto importante del nostro lavoro, che ha anche l’obiettivo di restituire la dignità a persone colpite ingiustamente – e, come in questo caso, anche in maniera piuttosto subdola – da provvedimenti razzisti e discriminatori, le cui vicende rischiano di essere fraintese o dimenticate”.
Articolo proveniente da IlBoLive