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Gay-Odin “nasce da una storia d’amore”

Gay-Odin “nasce da una storia d’amore”

La testimonianza di Massimo Schisa, membro del Consiglio di Amministrazione della nota fabbrica napoletana di cioccolato

La storia ‘dolce’ di un’impresa familiare, che affonda le radici nell’artigianalità e nel legame con il territorio, e che nell’ultimo secolo ha saputo innovarsi, senza perdere di vista la tradizione, confermandosi ‘sulla bocca di tutti’ a Napoli, in Italia e anche fuori dai confini nazionali. L’ha raccontata Massimo Schisa agli studenti delle prof.sse Ilaria Tutore e Chiara Cannavale incontrandoli a Palazzo Pacanowski, lo scorso 28 aprile, per presentare ‘Il caso Gay-Odin, tra innovazione e tradizione’.

L’incontro è stato organizzato in collaborazione con l’associazione studentesca Parthenope Unita. L’intento di Schisa è chiaro sin dalle prime battute. “Voglio portarvi con me nella nostra fabbrica di cioccolato”, dice alla platea studentesca. Alle sue spalle cominciano a scorrere immagini di mani che lavorano sapientemente il cacao, danno forma ai famosi cioccolatini e li guarniscono uno alla volta, perché è così che funziona in “un’azienda autosufficiente nella quale non si parte da semilavorati industrialibensì dalle materie prime e dalla torrefazione e dalla tostatura delle fave di cacao”.

Un paio di mani addirittura le riconosce, sono quelle della signora Mariagrazia, un’addetta alla lavorazione delle ghiande per le cialde farcite. Gay-Odin, racconta Schisa, “nasce da una storia d’amorePrecisamente dall’incontro tra i due cioccolatieri Isidoro Odin e Onorina Gay che nel 1894 aprirono un piccolo laboratorio a via Chiaia. Allora Napoli era una capitale europea di spessore internazionale e l’azienda si sviluppò rapidamente, crescendo sempre di più”. L’attuale opificio alle spalle di Via dei Mille invece risale al 1922, “prima testimonianza di architettura liberty dove, a quell’epoca, gli operai abitavano tutti insieme”.

Subito si ritorna al presente, all’ingresso in due nuovi mercatiRoma e Milano, “nei quali c’è voluto poco per capire che essere Gay-Odin non bastava a garantire il successo, né potevamo semplicemente far leva sulle tradizioni familiari come quella del nonno napoletano che la domenica arriva a casa con i cioccolatini. A Milano, in particolare, l’approccio al prodotto è completamente diverso, incompatibile con sola rivendita di cioccolato, e lì ci siamo re-inventati aprendo una sala per il cioccolato e un angolo di ‘caffèttuoseria’ dedicato al caffè arricchito con il nostro cioccolato”.

Poi il rebranding del marchio, “necessario perché tra i vari touchpoint, dalla divisa dell’addetto alle vendite, alle scatole, ai furgoni, si era creata una eccessiva confusione di grafiche e colori. Dopo una lunga riflessione abbiamo ridisegnato e alleggerito il logo e cominciato ad uniformare sulle confezioni l’illustrazione con i fiori e le fave di cacao, ora pure digitalizzata”.

Schisa parla sempre al plurale. Tutti i processi descritti finora, precisa infatti, “sono l’esito di decisioni partecipate che coinvolgono l’intera governance familiare e questo aspetto, talvolta, può rivelarsi un’arma a doppio taglio se i vari membri del team hanno posizioni discordanti rispetto ad una decisione da assumere o ad una strategia da adottare. Ora si stanno avvicinando all’azienda anche le nuove leve e mostrano interesse per nuovi progetti. Non si può smettere di crescere e ampliare gli orizzonti”.

Quest’ultima affermazione è un riferimento all’ipotesi ventilata, e sembra di intuire anche piuttosto accarezzata, di un’espansione nei mercati esteri: “Finora l’internazionalizzazione ci ha toccato in maniera non organica.Napoli ha una fortissima vocazione turistica e i social hanno contribuito a far conoscere il nostro prodotto. Al momento per l’estero stiamo testando delle azioni di marketing con advertising ottenendo buone conversioni in termini di acquisti tramite sito, soprattutto da alcuni paesi come la Germania. Però c’è da dire che i costi logistici sono abbastanza alti e il ROI (il ritorno sull’investimento) non mostra i guadagni che sarebbero auspicabili”.

La riflessione sull’internazionalizzazione quindi “è in corso. Noi, oltretutto, partiamo da un prodotto particolare, attualmente non scalabile e per il quale l’apporto manuale è circa dell’80%. Per implementare l’azienda e raggiungere il nuovo traguardo dovremo ripensarci a 360 gradi e stabilire chi vorremo essere in futuro senza snaturare la nostra identità presente”. Messo in pausa il discorso, Schisa invita gli ascoltatori, quasi tutti studenti di Marketing internazionale e Gestione delle imprese internazionali, ad interloquire con domande e considerazioni. Parte il question time. Poi, quando l’ultima domanda si spegne, gli occhi di tutti corrono alla cattedra alla quale è seduto Schisa perché di fronte a lui ci sono delle scatole blu infiocchettate, cariche di piccole prelibatezze. È il suo congedo al cioccolato a nome di Gay-Odin.
Carol Simeoli

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