Con l’avvento dell’agricoltura, l’umanità ha iniziato ad addomesticare e a selezionare varietà non solo di piante e animali, ma anche di microrganismi. Senza questi ultimi non avremmo bevande e alimenti come il pane, il vino e la birra.
I lieviti sono organismi monocellulari appartenenti al regno dei funghi. Solitamente sono associati alla panificazione, ma sono anche responsabili del contenuto alcolico, di buona parte del sapore e dell’aroma delle birre. In fase di produzione, infatti, vengono aggiunti al mosto di birra per avviare la fermentazione, ovvero quel processo che consente di ottenere etanolo (alcol) e anidride carbonica, a partire dagli zuccheri.
Un gruppo di ricerca di biologi del Millennium Institute for Integrative Biology, in Cile, dell’università di Santiago e dell’università di Stoccolma, in Svezia, è riuscito a far evolvere in laboratorio tre nuovi ceppi di lievito che potrebbero ampliare la varietà di gusti delle lager, le birre leggere e rinfrescanti che anche quest’estate in molti si sono goduti. I risultati sono stati pubblicati su Plos Genetics.
Le fasi di produzione della birra
Alla base del processo di produzione della birra c’è il malto, ovvero il chicco di un cereale germinato (tipicamente l’orzo, ma non solo). Dopo essere stato essiccato, viene prima macinato e poi ammostato, ovvero immerso in acqua e riscaldato. Il mosto ottenuto viene filtrato e riscaldato nuovamente fino a bollitura. In questa fase viene aggiunto il luppolo, che è responsabile del livello di amaro della birra. Dopo una mescolatura, vengono aggiunti i lieviti: gli zuccheri estratti dagli amidi, tramite le operazioni precedenti, vengono convertiti in alcol e anidride carbonica dalla fermentazione operata proprio da questi microrganismi. Dai lieviti dipendono anche importanti caratteristiche organolettiche come l’aroma della birra, definito da diversi composti volatili, come i fenoli. L’ultima fase è quella della maturazione, durante la quale la birra riposa per diversi giorni, prima del definitivo infustamento o imbottigliamento.
I lieviti e le birre
Le due più comuni categorie di birra si chiamano lager e ale. Le prime sono generalmente più leggere e rinfrescanti, le seconde più corpose e complesse. La principale differenza tra le due risiede proprio nei lieviti che vengono utilizzati nella fase di fermentazione: tipicamente Saccharomyces cerevisiae la specie usata nelle ale, Saccharomyces pastorianus quella utilizzata nelle lager.
I primi sono lieviti che fanno avvenire il processo di fermentazione più velocemente e a più alta temperatura (dai 12° ai 23°C circa). I secondi invece lavorano più lentamente e a temperature più basse (dagli 8° ai 15°C circa). Inoltre i primi tendono a salire in superficie durante il processo di fermentazione, mentre i secondi si depositano sul fondo: per questo ci si riferisce spesso alle ale come a birre ad alta fermentazione, mentre alle lager come birre a bassa fermentazione.
Il continuo perfezionamento delle tecniche di produzione della birra negli ultimi secoli ha portato alla selezione dei ceppi di lieviti più performanti. Ciò tuttavia ha anche drasticamente ridotto la diversità genetica di quelli impiegati: per la produzione di birre lager infatti oggi si usano solo due principali sottogruppi di S. pastorianus, che prendono il nome tedesco di Saaz e Frohberg, in seguito alla standardizzazione industriale del 1800 in Germania.
Oggi per le ale sono disponibili in commercio più di 350 lieviti, che garantiscono una gradazione alcolica medio-alta e una vasta gamma di aromi. Quelle del Belgio ad esempio, tra le più apprezzate al mondo, possono essere speziate o fruttate, con toni di agrumi o caramello, al sapore di nocciola o caffè, dense, schiumose o frizzanti, e non mancano quelle più amare.
Per le lager invece esistono solo 85 lieviti in commercio, un numero esiguo che “limita notevolmente la varietà di sapore e aroma che si può ottenere”, sottolineano gli autori dello studio.
Ibridazione ed evoluzione sperimentale
S. pastorianus in realtà è il risultato di un’ibridazione tra S. cerevisiae e un altra varietà: S. eubayanus. Un lavoro pubblicato su PNAS nel 2011 aveva identificato nelle foreste di faggi australi della Patagonia cilena 6 nuovi ceppi di S. eubayanus. Gli autori dello studio appena pubblicato sono partiti proprio da questa inedita diversità genetica per creare nuovi ibridi di lievito in laboratorio: sono state infatti isolate tre linee di S. eubayanus, varietà Patagonia B (PB-1, PB-2 e PB-3) e sono state incrociate con altre tre linee di S. cerevisiae.
Altri studi in precedenza avevano tentato di espandere la diversità dei lieviti utilizzati nella fermentazione delle lager, ricorrendo all’approccio dell’ibridazione o adottando le tecniche di evoluzione sperimentale (analoghe a quelle che hanno valso il premio Nobel per la chimica a Frances Arnold nel 2018) per migliorare le caratteristiche già presenti nella variabilità di partenza. Lo studio appena pubblicato su Plos Genetics ha puntato su entrambe le strategie: prima ibridazione, poi evoluzione sperimentale.
I ceppi ibridi ottenuti dai primi incroci infatti non presentavano ancora caratteristiche paragonabili a quelle dei lieviti disponibili in commercio. I ricercatori hanno allora chiesto aiuto all’evoluzione, che ha fatto il proprio corso.
Gli ibridi sono stati fatti riprodurre in laboratorio per 250 generazioni (circa 7 mesi) in diverse condizioni ambientali, ovvero a varie concentrazioni di zuccheri, etanolo e altre sostanze. Ogni 50 generazioni sono stati congelati campioni a -80°C, confrontando i ceppi ancestrali con quelli evoluti in laboratorio, tramite analisi del genoma, dell’espressione genica e dei tratti fenotipici.
L’insorgenza spontanea di mutazioni, tra una generazione e l’altra, ha fatto comparire alcune varietà dotate di caratteristiche quali una maggiore capacità di consumo degli zuccheri. Le analisi genetiche hanno consentito di individuare i tratti di interesse e far selezionare ai ricercatori le linee giudicate più promettenti, ovvero quelle capaci di una maggiore produzione di etanolo, di una fermentazione più veloce, con nuovi profili di aroma, e fissare questi tratti nelle generazioni successive.
I ricercatori hanno osservato che i ceppi dotati di mitocondri ereditati da S. eubayanus mostravano una fitness maggiore: risultavano cioè meglio adattati all’ambiente, simile al mosto di birra, in cui erano stati immersi. Sono anche riusciti a ottenere ceppi con una maggiore capacità fermentativa a basse temperature, ovvero una più elevata capacità di convertire gli zuccheri in alcol e di produrre anidride carbonica, superando in alcuni casi anche le performance dei lieviti già commercializzati.
Un ceppo in particolare ha anche prodotto “livelli riconoscibili di vinilfenolo-4, associato ad aromi speziati e chiodo di garofano, comunemente trovati nelle ale del Belgio e nella birra di malto di grano, che sono invece completamente assenti nelle lager” riporta lo studio.
L’analisi genetica ha inoltre identificato le mutazioni che differenziavano gli ibridi evoluti sperimentalmente dai ceppi di partenza. Quelle sui geni IRA2, IMA1 e MALX, in particolare, sono risultate responsabili della migliore capacità fermentativa e dei nuovi profili di aroma.
La combinazione di ibridazione ed evoluzione sperimentale ha consentito di ottenere nei nuovi ceppi di lievito un insieme di caratteristiche che non si sarebbero ottenute adottando solo l’uno o l’altro approccio. La resistenza alle basse temperature infatti è stata merito dei mitocondri di S. eubayanus, acquisiti per ibridazione, così come la maggiore varietà di aromi. La migliore capacità fermentativa invece è emersa solo successivamente con la spinta fornita dalle tecniche di evoluzione sperimentale.
Una bevanda dal contenuto alcolico troppo elevato, per quanto piacevole, d’estate può fare sentire più caldo di quanto già non si avverta. Molti quindi preferiscono dissetarsi con le lager, che rappresentano infatti il 90% delle birre vendute al mondo. Il prezzo da pagare però è una varietà di aromi piuttosto piatta.
“Crediamo che i nostri nuovi lieviti ibridi abbiano il potenziale di rivoluzionare il processo di produzione delle lager” commenta su The Conversation Jennifer Molinet, ricercatrice di post-dottorato dell’università di Stoccolma che ha condotto lo studio. “I birrai potranno usare questi ceppi per sviluppare tipi di lager unici, facendo emergere il loro prodotto in un mercato affollato e attraendo persino coloro che preferiscono birre ale più fruttate o più amare (come le IPA – Indian Pale Ale)”.
“Abbiamo già usato i nostri ceppi ibridi per produrre birre lager su piccola scala (500 litri) in collaborazione con birrai locali in Cile” conclude Molinet. “Il nostro studio non apre solo a nuove possibilità per l’industria delle birre lager, ma evidenzia anche l’importanza della biodiversità nella produzione. Attingendo alla naturale diversità genetica del lievito selvatico, possiamo creare prodotti innovativi e andare incontro ai gusti dei consumatori, che evolvono anch’essi in continuazione”.
Articolo proveniente da IlBo Live – Magazine dell’Università di Padova