“Sospendere immediatamente ogni forma di collaborazione scientifica e didattica con gli atenei dello Stato d’Israele”: è la richiesta indirizzata al Consiglio di Amministrazione e al Senato Accademico della Federico II, che ha già raccolto oltre 1800 firme tra docenti, personale tecnico-amministrativo e studenti.
“Un’ultima chiamata per la dignità di questa istituzione che noi rappresentiamo e che non può restare silente”: così la definisce il prof. Alberto Lucarelli, docente di Diritto Costituzionale presso il Dipartimento di Giurisprudenza e autore del documento, intitolato ‘Unina per Gaza’, assieme ai colleghi Rosario Patalano (Giurisprudenza), Paolo Donadio (Studi Umanistici), Bruno Catalanotti (Farmacia), Alessandro Arienzo (Studi Umanistici), Gianluca Imbriani (Fisica) e Salvatore Villani (Scienze Politiche). “Ad oggi a Gaza si contano 63.000 vittime. Secondo Save The Children, 20.000 sono bambini. Circa mille avevano meno di un anno: nati durante la guerra e uccisi a causa di essa”, riporta il prof. Lucarelli.
A questi aggiunge 250.000 persone a rischio denutrizione (con una carestia accertata dall’ONU), 150.000 feriti (di cui 42.000 bambini, la metà dei quali invalida a vita), 2 milioni di sfollati e migliaia di dispersi, presumibilmente sepolti dalle macerie. “Davanti ad una situazione ormai giuridicamente qualificata come crimine di guerra, come crimine contro l’umanità e rischio fondato di genocidio, la più grande università del Mezzogiorno deve dire qualcosa”, esorta, “non può diventare complice, anche indirettamente, di quello che sta accadendo”.
Ma cosa c’entrano, in tutto questo, le relazioni con le Università Israeliane? Si richiama al rispetto dell’art. 9 dello Statuto di Ateneo che, in conformità con il ripudio della guerra a cui ci impegna la Costituzione, recita: “L’Università avversa l’utilizzo dei risultati delle proprie attività per applicazioni che perseguano scopi contrari ai principi della dignità e libertà dell’uomo e della pacifica convivenza fra i popoli”.
“Non possiamo pensare che un accordo scientifico sia al di fuori del quadro politico e non abbia un valore anche simbolico”, spiega il prof. Lucarelli, sottolineando l’intento di rivolgersi a tutti i rapporti di collaborazione scientifica: con le società, le fondazioni, i think-tank e così via. L’intento, come puntualizzato nel documento, non è “isolare e punire gli accademici israeliani”, bensì sfruttare lo strumento del cosiddetto “boicottaggio accademico” per “adottare degli atti di discontinuità tra le istituzioni, che possano contribuire a fare pressione sul governo Netanyahu”, precisa Lucarelli. Insomma, un rifiuto di continuare a collaborare “fino a che non cesseranno le operazioni militari e non verrà ripristinata una situazione rispettosa del diritto internazionale”.
Un’azione la cui urgenza è testimoniata anche dalla presenza, tra i firmatari, di un docente titolare di un accordo con l’Università di Tel Aviv, nonché da una lettera in cui perfino alcuni rettori delle università israeliane avrebbero invitato a chiedere la sospensione, come rivela il prof. Lucarelli. Per il resto, il documento condanna il massacro del popolo palestinese e le violazioni del diritto internazionale sul Territorio Palestinese Occupato (e in parti sempre più ampie della Cisgiordania), ma anche “le azioni violente condotte da organizzazioni terroristiche palestinesi contro il popolo israeliano” e quanto accaduto il 7 ottobre 2023.
“Manca una delibera del Senato Accademico”
Si rivolge, poi, anche al governo italiano, sollecitandolo a riconoscere lo Stato Palestinese, ad applicare l’obbligo giuridico di non cooperazione e ad adottare sanzioni contro il governo israeliano. In quasi due anni dal 7 ottobre e dall’inizio del massacro del popolo palestinese, l’Ateneo si è espresso per lo più attraverso comunicati stampa, di cui l’ultimo risalente al 10 settembre, a sostegno dell’impresa umanitaria della Global Sumund Flotilla.
“Si tratta di dichiarazioni, non di atti istituzionali – osserva il prof. Lucarelli – La differenza è che i secondi sono atti amministrativi che, come tali, hanno delle conseguenze pratiche. Ad oggi ci si muove su un piano meramente politico, molto importante, ma manca una delibera del Senato Accademico”, che è invece ciò per cui spingono i firmatari di ‘Unina per Gaza’. In aggiunta, il docente rivela che si è spesso sollecitato il rettore anche per l’istituzione di assemblee pubbliche: “i Consigli di Dipartimento escludono una serie di categorie che hanno firmato: buona parte degli amministrativi, dei dottorandi, dei precari, degli studenti e degli Emeriti”, contesta il docente.
“Noi, invece, vogliamo che si apra un dibattito forte e che tutti i Dipartimenti facciano sentire la propria voce. Per non rischiare di diventare complici dobbiamo parlare, condividere il documento, deliberare, sospendere gli accordi. Questo è ciò che riteniamo sia necessario per essere fedeli alla nostra missione di università pubblica: coltivare il sapere critico, difendere i diritti, schierarsi dalla parte della dignità umana, dei bambini, dei più deboli e, in senso più ampio, del futuro”, esorta.
L’Ateneo non ha concesso la pubblicazione del documento sui suoi canali ufficiali. Tramite passaparola, tuttavia, l’appello si è diffuso in numerosi Dipartimenti e ogni giorno l’elenco dei firmatari aumenta. Alla fine, il documento è approdato al Senato Accademico. Il Rettore, però, ha richiesto l’avvio di consultazioni interne ai singoli Dipartimenti, prima di giungere ad una decisione in merito.
Giulia Cioffi
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Ateneapoli – n. 13-14 – 2025 – Pagina 4