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Al timone del CUN un docente della Vanvitelli: è il prof. Paolo Vincenzo Pedone

Al timone del CUN un docente della Vanvitelli: è il prof. Paolo Vincenzo Pedone

Rivisitazione del sistema dell’abilitazione scientifica nazionale e del meccanismo dei concorsi, trasformazione in abilitanti di alcune classi di laurea, impatto della formazione in modalità telematica sull’offerta formativa delle Università italiane: i temi in discussione nel Consiglio

Alcuni anni dopo il prof. Luigi Labruna, docente a Giurisprudenza della Federico II, c’è un altro universitario campano alla presidenza del Consiglio Universitario Nazionale (CUN), organo di consulenza del Ministro della Università del quale fanno parte 58 membri: tre Rettori, un Direttore amministrativo di Ateneo, rappresentanti dei docenti, del personale tecnico – amministrativo e bibliotecario e dei docenti. È il prof. Paolo Vincenzo Pedone, 55 anni il prossimo 26 maggio, ordinario presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche (Distabif) dell’Università Vanvitelli.

È stato eletto con 55 preferenze. Due le schede bianche, un assente. Pedone correva come candidato unico dopo che un altro docente nella rosa dei papabili aveva comunicato qualche tempo prima del voto che avrebbe ritirato la sua disponibilità ed avrebbe sostenuto anch’egli il professore campano.


Perché si è candidato? “Ho iniziato la mia esperienza al CUN nell’aprile 2019 come coordinatore della Commissione Politiche per la valutazione, la qualità e l’internazionalizzazione della Formazione universitaria, più conosciuta come Commissione Didattica. Questi ultimi quattro anni sono stati intensi, con un susseguirsi di modifiche normative che hanno interessato il sistema universitario. Il CUN con convinzione e autorevolezza ha svolto un ruolo vigile e propositivo. Molto lavoro è stato fatto, ma l’iter di alcuni di questi procedimenti non è ancora completato e molto ancora rimane da fare nel prossimo futuro. Ho pensato che fosse utile mettere a disposizione l’esperienza che avevo accumulato”.


Lei ha fatto riferimento ad alcune modifiche dell’ordinamento universitario rispetto alle quali il CUN ha svolto un’attività di consulenza nei confronti del Ministro della Università. Quali sono? “Abbiamo partecipato attivamente al dibattito sulla riforma del reclutamento in entrata che ha portato all’elaborazione di una proposta che superasse il sistema dei ricercatori a tempo determinato di tipologia a e b, in parte recepita dalla legge 79/2022. Abbiamo, inoltre, formulato pareri sulla riforma del Decreto Ministeriale 270 del 2004 che hanno portato alla elaborazione di un testo di riforma che in questi giorni è all’analisi delle commissioni parlamentari.
Esso prevede una revisione delle classi di laurea che, pur garantendo l’auspicata flessibilità, non alteri l’assetto e la riconoscibilità dell’offerta formativa. Nell’ambito delle riforme richieste dal Ministero in ottemperanza agli obiettivi del PNRR, poi, il CUN ha anche lavorato alla riscrittura completa degli obiettivi formativi delle classi di laurea, alla scrittura delle declaratorie dei nuovi gruppi scientifico-disciplinari e alla revisione di quelle dei settori scientifico-disciplinari che è prevista dalla legge 79/22. Ha poi coadiuvato il MUR nel percorso di istituzione delle prime lauree abilitanti”.


Quali saranno i temi in discussione in seno al CUN nei prossimi due anni, la durata del mandato di un Presidente? “Il CUN dei prossimi anni continuerà a essere l’assemblea in grado di raccogliere ed elaborare le istanze delle comunità accademiche e, in piena autonomia, portarle a sintesi per elaborare pareri e proposte che siano efficaci e utili per l’interlocuzione con il decisore politico, con una visione di un sistema universitario moderno e innovativo, equo e inclusivo e che possa garantire sempre una didattica e una ricerca di alto livello al Paese”.


In concreto su cosa vi confronterete? “Non è possibile definire un programma preciso di azione del CUN per i prossimi anni, perché molto dipenderà dalle richieste e sollecitazioni che giungeranno all’organo dalla società, dalla comunità accademica e dalla politica. A titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, posso però indicare alcuni dei temi rilevanti che nei prossimi mesi ci vedranno coinvolti. L’attivazione delle nuove figure previste dalla legge 79/2022: contratti di ricerca; ricercatori a tempo determinato in attesa di conferma in ruolo a tempo indeterminato (in tenure track l’espressione inglese) con contratti di 6 anni; tecnologi a tempo determinato.
Ancora: rivisitazione del sistema dell’abilitazione scientifica nazionale e del meccanismo dei concorsi per professore universitario di prima e seconda fascia. Ci sarà poi da confrontarci sulla trasformazione in abilitanti di alcune classi di laurea che danno accesso alle professioni (ai sensi della Legge 163/2021), vigilando che non sia né deformata né irrigidita l’offerta formativa proposta dagli Atenei.
Un altro tema sarà l’impatto della formazione in modalità telematica sull’offerta formativa delle Università italiane. Non meno importante la questione della valutazione dell’efficacia delle lauree professionalizzanti e del loro rapporto con la formazione erogata dagli istituti tecnici superiori, nel contesto di una auspicata rivalorizzazione del ruolo dei laureati nel mercato del lavoro pubblico e privato per colmare il disallineamento tra la domanda occupazionale di laureati e l’offerta formativa delle università. Egualmente importante sarà nei prossimi anni monitorare l’andamento del finanziamento del sistema universitario, la sua dipendenza dalla contribuzione studentesca e l’impatto del calo demografico sulla sostenibilità del sistema nel suo complesso. C’è poi il tema della valorizzazione del dottorato di ricerca come elemento qualificante dell’offerta formativa degli atenei e monitoraggio delle trasformazioni del dottorato stesso avvenuta a seguito degli ultimi interventi normativi e dei finanziamenti finalizzati dei PON e del PNRR”.


Il lavoro, insomma, non manca. Riuscirete ad essere incisivi o saranno solo pareri, per quanto interessanti, privi di risvolti concreti? “Le proposte saranno il frutto di un attento lavoro di studio e analisi dei dati, che il CUN ha dimostrato di saper elaborare nelle fasi istruttorie di ciascuno dei documenti prodotti, utili al decisore politico e alla comunità accademica per una discussione consapevole”.


Nel corso del suo mandato la Laurea Triennale compirà un quarto di secolo. Ai più appare un fallimento. La quasi totalità dei laureati di primo livello prosegue con la Magistrale. Non sembra che il mercato del lavoro abbia recepito la novità introdotta tra il 2000 ed il 2001. Quale è la posizione del CUN su questo punto? Non credete che sia il caso di ritornare al vecchio sistema? “Rispondo con una mia riflessione personale, che non impegna il CUN. Nel Paese è necessaria una attenta rivalorizzazione del ruolo dei laureati, soprattutto Triennali, nel mercato del lavoro pubblico e privato per colmare il disallineamento tra la domanda occupazionale di laureati e l’offerta formativa delle università italiana.
È necessario che il sistema produttivo e la pubblica amministrazione aumentino il fabbisogno di laureati, altrimenti l’enorme sforzo fatto dalle Università italiane per aumentarne il numero sarà vano. Prima di definire i percorsi di laurea triennali come poco utili per il mondo del lavoro sarebbe necessario, ad esempio, verificare se il mercato del lavoro ha realmente recepito il valore di queste nuove figure. Ho la sensazione che ci sia ancora molto da fare se, a fronte di un obiettivo di raggiungere il 40% della popolazione con un titolo di studio post-secondario, ad oggi il fabbisogno lavorativo di laureati rimane ancora così basso”.

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