HomeAtenei SudUniv. VanvitelliInvasioni biologiche vegetali: “in Campania 473 specie aliene”

Invasioni biologiche vegetali: “in Campania 473 specie aliene”

“In genere si pone più attenzione alle specie animali aliene che a quelle vegetali. Eppure queste ultime rappresentano un problema estremamente significativo. Io partecipo all’aggiornamento delle piante aliene in Italia, che è curato da un gruppo di botanici i quali le censiscono andando sul campo. Ebbene: in Italia le specie vegetali aliene, secondo l’ultimo aggiornamento del 2024, sono 1782. In Campania 473, spiega il prof. Adriano Stinca, botanico del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Ambientali, Biologiche e Farmaceutiche della Vanvitelli, che terrà, a breve, un corso che si chiama Invasioni Biologiche Vegetali.
Premessa necessaria per inquadrare l’argomento “è che moltissime specie vegetali che noi oggi consideriamo tipiche dei nostri territori hanno origini geografiche lontane. Si pensi al pomodoro, che come noto è approdato in Europa dalle Americhe, al mais, agli agrumi, i quali erano diffusi in Asia prima di entrare a far parte del nostro paesaggio. Nessuno, però, si sognerebbe oggi di definire un arancio o il pomodoro specie aliene invasive”. L’espressione, infatti, fa riferimento “alle piante che arrivano da noi accidentalmente oppure per volontà di chi le porta e che poi si espandono in maniera incontrollata ed incontrollabile, fino ad occupare la nicchia ecologica di piante storicamente presenti nei nostri territori.
Fuori dagli areali originari gli invasori – mi si passi l’espressione – non hanno patogeni che ne contengono l’espansione, quali insetti, funghi e virus. In più hanno generalmente una capacità molto elevata di fare semi e riprodursi. Non sempre è facile ricostruire come queste specie sono giunte fino a noi. Navi, aerei, i movimenti di terra legati ai lavori stradali sono alcune delle modalità di diffusione involontaria ed accidentale”.
L’elenco degli ‘alieni’ è nutrito. Genista aetnensis, la Ginestra dell’Etna, racconta per esempio il prof. Stinca, “fu introdotta sul Vesuvio nel 1906 dopo una eruzione con l’intento di stabilizzare i versanti. Oggi è di gran lunga la ginestra più diffusa sul vulcano e sta soppiantando quella della celebre lirica di Leopardi. I fiori sono molto simili, ma la specie aliena invasiva è molto più grande, quasi un piccolo albero”.
Ha origini ben più lontane un’altra specie aliena invasiva che sta cambiando il paesaggio del Vesuvio. Si chiama Robinia ed è originaria del Nord America. “È diffusissima sotto i mille metri di altitudine. Fu introdotta volontariamente in Europa nell’Ottocento come specie da legno, sebbene si sia poi scoperto che il legno non è di qualità ottimale. Nei boschi la Robinia sta rimpiazzando la Roverella, l’Orniello, l’Acero”. Un altro invasore è l’Ailanto. “Proviene dall’Asia orientale. Fu importato nell’Ottocento ed ha una capacità di diffondersi superiore alla Robinia sia attraverso i semi sia attraverso i polloni”. Penniseto setaceo (Cenchrus setaceus) è originario delle aree subtropicali. “È una graminacea della famiglia del frumento e del riso. Ignota in Campania fino a qualche anno fa. Lo sto ora trovando ovunque e tende a sostituire le nostre specie tipiche delle scarpate stradali e dei pascoli”.
Occupa un posto speciale, per i motivi che presto si diranno, il Senecione sudafricano (Senecio inaequides). È una sorta di margherita – chiarisce il prof. Stinca – con i fiori gialli. Come le specie nostrane, è spesso bottinata dalle api, ma ha la particolarità di essere ricca di alcaloidi tossici anche per l’uomo. Pare che le api non ne risentano, ma può capitare che il miele prodotto dagli insetti che hanno raccolto il nettare dal Senecione sudafricano non sia commercializzabile proprio per la presenza degli alcaloidi. I quali possono trasferirsi anche nel latte di un animale che abbia mangiato nel fieno il Senecione sudafricano, col risultato che i prodotti caseari realizzati con quel latte potrebbero essere anch’essi non commercializzabili”.

Giralimone, meglio solo qualche assaggio

Le acque non sono immuni alle specie vegetali aliene. “Alcuni anni fa in Campania – ricorda il prof. Stinca – noi botanici individuammo in un affluente del Lago Patria la lattuga acquatica (Pistia stratiotes). Formava un tappeto sulla superficie senza soluzioni di continuità. È una specie che riduce fortemente la quantità di ossigeno nell’acqua e può creare problemi alla navigazione, perché crea una barriera fisica. Si moltiplica per via vegetativa e nella sua zona di origine, la fascia intertropicale, ospita insetti vettori di malaria”.
Come è arrivata la lattuga acquatica nel Lago Patria? “In questo caso abbiamo una ipotesi molto credibile. A pochi metri dal canale dove l’abbiamo trovata c’è un’azienda che commercializza pesce e crostacei. Potrebbero avere sversato nei canali affluenti del Lago Patria le acque di lavaggio. Pratica illegale, in verità. È una ipotesi credibile perché nel medesimo corso d’acqua abbiamo individuato anche altre specie vegetali aliene invasive: il Giacinto d’acqua (Pontederia crassipes), che viene dalle aree neotropicali) e Azolla (Azolla filiculoides), anch’essa delle aree neotropicali. Nel medesimo canale era presente il Gambero rosso della Louisiana, specie invasiva animale estranea all’habitat di quel territorio”.
Talvolta l’alieno assume i panni di una pianta che capita di osservare e magari di sgranocchiare durante una scampagnata fuori porta o una giornata trascorsa in un giardino. È il caso dell’Acetosella gialla (Oxalis pes – capre). Alcuni bambini la definiscono giralimone, in alcuni territori la si appella sucalimone. Se la si succhia, il sapore richiama infatti quello dell’agrume. “Acetosella gialla – informa il docente – fu introdotta in Italia un paio di secoli fa, forse dopo una tappa intermedia a Malta, isola nella quale sarebbe stata portata dai militari inglesi. Fiorisce tra dicembre ed aprile. È ricca di acido ossalico e per questo se si abusa nel consumo può provocare i calcoli ai reni.
Lo sanno bene le mamme che raccomandano ai figli di non succhiarne più di un paio. Il perché il prof. Stinca ha voluto dedicare un corso agli invasori verdi: “È una tematica di grande attualità e perché il mercato del lavoro richiede laureati con competenze specifiche. Alcune specie aliene causano allergie da pollini, altre dermatiti, alcune sono tossiche. Il fatto, poi, che siano infestanti fa sì che per contrastarle gli agricoltori ricorrano massicciamente ai diserbanti, il che naturalmente non è una buona cosa dal punto di vista della tutela dell’ecosistema.
C’è grande necessità di esperti che possano, per esempio, fornire informazioni scientifiche per adottare piani di gestione che permettano, se non di eradicare le specie aliene invasive, almeno di contenerne la diffusione”.
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Ateneapoli – n. 5 – 2025 – Pagina 14

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