Un lago di plastica

Dal 2021, Luca Fambri del Dii monitora con Seabin la presenza di plastiche e microplastiche nel Garda

Conoscere lo stato di salute dei nostri laghi e dei nostri fiumi è fondamentale. Non solo per pianificare le politiche necessarie alla salvaguardia ed eventualmente al ripristino, ma anche per sensibilizzare la cittadinanza sull’importanza di comportamenti sostenibili e responsabili. Dal 2021, Luca Fambri, docente di Scienza e tecnologia dei materiali al Dipartimento di Ingegneria industriale dell’Università di Trento, lavora su questo fronte in collaborazione con Fraglia Vela di Riva con il progetto Seabin, un’iniziativa nata in Australia nel 2015 per la pulizia dell’oceano ora diffusa a livello globale.

«Seabin presso Fraglia Vela Riva è diventato prima di tutto un progetto didattico di monitoraggio e di sensibilizzazione, ma con importanti risvolti da un punto di vista accademico», spiega Luca Fambri, che per tutta la scorsa settimana ha presidiato lo stand UniTrento a Riva del Garda in occasione dello Youth Sailing World Championships (12-19 luglio 2024) proprio per raccontare le attività in corso a chi ha raggiunto la città per la competizione. «Un progetto che nel corso degli anni è riuscito a coinvolgere alcune scuole del territorio – il liceo Maffei e Garda Scuola – con l’obiettivo di avvicinare sempre più giovani al tema dell’impatto delle plastiche sull’ambiente».

Come funziona? Come dice il nome, Seabin non è altro che un bidone con una rete cilindrica che viene immersa nelle acque – in questo caso quelle del Lago di Garda – per raccogliere e filtrare il materiale galleggiante, comprese impurità e sporcizia grazie alle maglie di 2×2 millimetri. Ogni 24 ore viene svuotato per verificarne il contenuto. Al suo interno si trovano foglie, alghe, piume, vegetali di vario tipo, tutto ciò che è naturale trovare in un lago, ma anche altro che lì non dovrebbe stare: materiali plastici, rifiuti vari compresi mozziconi e altri ancora potenzialmente più insidiosi, le cosiddette microplastiche che derivano dalla frammentazione di oggetti comuni.

«I materiali e i manufatti più presenti nelle acque del Garda – racconta – sono quelli che provengono dal settore dell’imballaggio (come film e contenitori), dal settore edile, in particolare il polistirolo espanso, ma anche dall’agricoltura, con alcuni degli elementi usati nei campi, che degradano e poi arrivano nei fiumi e nei laghi».

Una volta prelevato dalle acque, il contenuto del Seabin viene poi differenziato manualmente, per dividere il materiale plastico che necessiterebbe di un trattamento specifico, dal materiale organico, che potrebbe essere avviato al compostaggio. Quest’anno però il professor Fambri e il Laboratorio Polimeri e Compositi può contare su un aiuto in più: «Di recente, grazie all’intervento di Riva Fiere Congressi, abbiamo avuto in comodato uno spettrometro infrarosso portatile, uno strumento diagnostico che ci permette di identificare sul campo i materiali rinvenuti nel lago: polietilene, polipropilene, polistirene, poliestere, poliammide e altri ancora».

Fondamentale è poi la collaborazione con le istituzioni e gli enti che operano sul territorio, «anche se mettere insieme realtà con finalità diverse non è sempre facile», commenta Fambri.

La vocazione didattica del progetto si dimostra anche nel numero di studenti e studentesse, dell’università, ma anche delle scuole superiori, che scelgono di fare un’esperienza con Seabin.

«Nel 2024, con le piogge abbondanti della primavera e di inizio estate, c’è stato un effetto di dilavamento del terreno, con una grande quantità di materiali che si è riversata nei corsi d’acqua e di lì nei laghi, e che potrebbe terminare nei mari. A questo non è corrisposta però una maggior sensibilità da parte delle persone, che potrebbero attivarsi per limitare l’impatto sull’ambiente della dispersione di plastiche».

«Purtroppo i materiali dispersi in acqua – prosegue Fambri – non hanno ancora un valore economico, perché non ci sono ancora tecnologie adeguate a valorizzarli. Per questo l’unica leva su cui lavorare per convincere le persone a cambiare i propri comportamenti è quella etica e morale, anche in riferimento a normative attuali e future».

Negli ultimi anni in Italia, si parla molto di “archeoplastica”, vale a dire il ritrovamento e l’esposizione di reperti di plastica spiaggiati, oggetti di oltre 30-60 anni rinvenuti sulle spiagge marine principalmente adriatiche, a testimonianza della capacità della plastica di persistere nell’ambiente per decenni, fino a diventare quasi un reperto archeologico. «Questa è una situazione che riguarda molto limitatamente l’Alto Garda, per il ridotto bacino idrico del fiume Sarca rispetto al mare Adriatico e agli altri grandi fiumi».

«L’esperienza di raccolta e monitoraggio in questa speciale settimana – conclude Fambri – ha consentito di rimuovere ogni giorno almeno un chilogrammo di materiale galleggiante, comprensivo di circa l’1-2% di materiale plastico, contribuendo in tal modo alla effettiva pulizia del porticciolo di Fraglia Vela Riva.
Con lo stand UniTrento, abbiamo poi potuto fare divulgazione e sensibilizzazione sulla tematica plastiche e microplastiche in ambiente», oggetto peraltro del progetto Prin 2022 “Plastacts – Assessment of nano/microplastics impacts”, di cui il professor Fambri è responsabile locale.

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