HomeAtenei NordUniv. di TrentoTutti a tavola. Ma per studiare

Tutti a tavola. Ma per studiare

Un’esperienza di ricerca unica negli splendidi Archivi storici dell’Unione europea grazie al programma Jean Monnet

Scaffali polverosi, tomi accatastati alla rinfusa, lettori curvi sui libri sotto il peso dei loro occhiali spessi. Sono tanti gli stereotipi che ancora resistono a proposito del lavoro in archivio. Eppure da tempo le biblioteche sono radicalmente cambiate e l’ordine e la pulizia sono diventate ormai la regola. Ma gli Archivi storici dell’Unione europea a Firenze sono comunque una biblioteca speciale per posizione e ricchezza. E le studentesse e gli studenti del corso di storia contemporanea di UniTrento hanno avuto modo di scoprirla. Due giorni tra le colline toscane li hanno fatti appassionare ancora di più a quello che potrebbe forse un giorno diventare il lavoro della loro vita: studiare. A UniTrentoMag hanno raccontato la loro esperienza.

Gli Archivi storici dell’Unione europea si trovano a Firenze e sono parte integrante dell’Istituto universitario europeo. Sono il centro di deposito ufficiale dei documenti d’interesse storico prodotti dalle istituzioni dell’Unione europea. «L’occasione di visitarli è arrivata grazie alla collaborazione il direttore Dieter Schlenker e a un progetto di didattica innovativa promosso nell’ambito del programma Jean Monnet», spiega Sara Lorenzini, ordinaria di Storia contemporanea al Dipartimento di Lettere e Filosofia. «Il programma Jean Monnet è nato promuovere la conoscenza del processo di integrazione europea. Fino a pochi anni fa, l’idea di Europa aveva una proiezione globale incontestata e non attraversava la crisi che si trova forse a fronteggiare oggi. Ma questo è senz’altro uno stimolo per noi a continuare ad occuparcene e a studiare. È un’attività a cui teniamo molto perché permette a studentesse e studenti della laurea magistrale in Storia contemporanea di lavorare a diretto contatto con le fonti».

Nel primo modulo del progetto, che ha durata triennale, il gruppo ha trattato il tema della leadership, declinata in modo ampio. «Se pensiamo al processo di integrazione europea vengono subito in mente alcuni nomi di spicco, come Alcide Degasperi, Robert Schuman, lo stesso Jean Monnet – chiarisce Lorenzini – . Ma anche alcuni altri nomi meno considerati dalla storiografia classica come Sicco Leendert Mansholt, considerato il padre della politica agricola comune europea, Altiero Spinelli, uno degli autori del Manifesto di Ventotene, o Willy Brandt, promotore del processo di distensione Est-Ovest, o Simone Weil, prima donna a ricoprire l’incarico di presidente del Parlamento europeo. Ognuno di loro è associato a un momento e a un’idea di Europa. E i loro archivi sono consistenti e studiati, le case-museo molto visitate. 
Il lavoro che invece abbiamo proposto è sulle figure meno conosciute, a volte invisibili. Non necessariamente protagonisti di primo piano ma personaggi che hanno comunque partecipato in modo significativo alla costruzione dell’Unione europea».

«Abbiamo proposto agli studenti sette macrotemi di cui occuparsi», aggiunge la dottoranda Laura Chiara Cecchi che ha supportato l’iniziativa come tutor. «Erano il Dialogo euro-arabo e la Convenzione di Lomé; le origini del Programma Erasmus; l’allargamento alla Gran Bretagna; l’Europa Sociale; la Comunità europea di difesa; L’Europa e l’ambiente; l’Europa, Chernobyl e la sicurezza nucleare. Tutti argomenti che ancora oggi hanno impatto sul modo in cui si organizza l’Unione europea o su grandi questioni aperte. E tutti collegati a personalità che hanno segnato lo sviluppo di questi temi. Gli studenti hanno poi scelto il tema preferito e come portare avanti il lavoro, da soli o in piccoli gruppi. E poi, dopo l’esperienza in archivio, abbiamo organizzato la restituzione in forma di graduate conference, con la discussione che solitamente si fa a livello dottorale. Anche questa è stata un’esperienza estremamente formativa per loro».

«La nostra scelta è caduta su un tema abbastanza trascurato nella storiografia, eppure estremamente interessante», racconta lo studente Andrea Petizzi. «La parte più complessa è stata l’approccio a un archivio così vasto. Lo abbiamo esaminato per intero e poi ci siamo divisi il lavoro seguendo l’arco cronologico della vita professionale di Fausta Deshormes La Valle. Come funzionaria, lei ha lavorato dietro le quinte ed è grazie al suo impegno che il 1975 è stato istituito l’anno internazionale della donna. Da allora, ogni 8 marzo in oltre cento paesi, si celebra la Giornata Internazionale della Donna».

«Sì, l’organizzazione del materiale è stato l’aspetto più sfidante», concorda Isabel Pancheri. «Ce n’era molto e difficile da esaminare. Ma la possibilità di fotografare i documenti per esaminarli poi con tranquillità ha aiutato molto. E poi l’accoglienza: è stata fantastica, fin da subito. È stato lo stesso direttore a spiegarci il funzionamento dell’archivio e ad accompagnarci nei primi momenti di contatto con le risorse bibliografiche. Questa esperienza mi ha affascinato. Ho scoperto che mi piace fare ricerca in archivio: è come entrare in un’altra dimensione».

«Certo la maggior parte dei documenti era in francese. Ma lavorare insieme ha permesso di superare gli ostacoli iniziali della lingua. E poi siamo riusciti a utilizzare un approccio metodologico, a seguire una scansione organizzativa. Seguire andamento cronologico è stata subito idea vincente» aggiunge Francesca Risatti. «Mi ha colpito toccare con mano i documenti, vedere l’evoluzione del linguaggio. Esaminare la grafia di allora. Mi sono immersa completamente in un’altra epoca. E mi sono sentita privilegiata per questo contatto con una persona del passato».

«All’archivio siamo stati due giorni. All’inizio sembrava una vita. Invece il tempo è trascorso in un istante», ammette Sofia Pretto. «Nei faldoni spesso i documenti si ripetevano. E poi, troppo materiale: c’era da decidere su cosa concentrarsi. Abbiamo imparato a gestire bene il tempo e a creare un discorso organico che abbiamo sviluppato nel corso del mese successivo. E poi è stato interessante vedere come si è evoluta nel tempo la percezione su grandi questioni di cui ancora oggi si discute, come le relazioni coniugali o il ruolo della donna sul posto di lavoro».

A unire nel lavoro non è stato solo il comune interesse per l’argomento, ma anche il modo di lavorare che gira tutto attorno al grande tavolo della Sala di lettura intitolata ad Alcide Degasperi, tutta riservata a loro. Un tavolo comodo e spazioso che sembra essere l’emblema della loro esperienza di approfondimento e condivisione. E che torna spesso nel loro racconto: «Quando siamo arrivati nella grande sala ci siamo sistemati attorno a questo grande tavolo centrale, nelle nostre postazioni accanto ai colleghi. Si stava comodi, larghi. Eppure vicini: perfetto per lavorare insieme. Ognuno di noi ha ricevuto un primo fascicolo. La documentazione da esaminare era molto diversificata. C’erano lettere, documenti, vari numeri della rivista ‘Donne d’Europa’ che Fausta Deshormes La Valle ha fondato», ricorda Risatti.

Ma la sorpresa maggiore è stata forse quella ancora prima di entrare, alle porte della splendida villa seicentesca appartenuta alla famiglia Salviati che ospita l’archivio sulle colline a est di Firenze. «Quando siamo arrivati sono rimasto senza parole – ricorda Petizzi. Una distesa di giardini bellissimi ed ecco la biblioteca, in una zona distaccata, forse le antiche scuderie. Una delle più grandi e suggestive che abbia mai visto, circondata dai vigneti. È stata un’immersione totale».

«In quel momento, con quel panorama naturale davanti agli occhi, tutti gli stereotipi sul lavoro di archivio sono svaniti – concorda Pretto. Niente polvere, niente freddo, niente odore di chiuso. Ma ambienti moderni, confortevoli. Ci si sente importanti ad accomodarsi nelle sale per studiare. Stando lì mi sono venute varie idee per la tesi magistrale. Anche più complesse di quanto avessi immaginato. Forse nel mio futuro c’è altro, oltre all’insegnamento».

Fausta Deshormes La Valle, una delle figure scelte per il lavoro di ricerca, fu funzionaria della Comunità europea, dagli anni ‘60 ai ’90. Definita ‘un’artigiana dell’informazione’ per il suo passato da giornalista e per il suo acuto spirito critico, svolse un ruolo influente nel processo di emancipazione femminile, diffondendo informazioni, promuovendo l’istruzione e la partecipazione politica e svegliando le coscienze. A scegliere di ricostruire la sua storia e il tema dell’Europa sociale sono stati quattro dei circa venti studenti coinvolti nell’iniziativa.

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