L’analisi del Digital News Report Italia 2025 a cura del Master in Giornalismo di Torino ha indagato lo stato dell’informazione tra sfiducia, frammentazione e nuove sfide digitali
L’Italia legge meno, ma non smette di cercare notizie. È questo uno dei dati più sorprendenti del Digital News Report Italia 2025(apre una nuova finestra), l’indagine realizzata da Alessio Cornia (assitant professor a Dublin City University e già responsabile della parte italiana del Reuters Institute Digital News Report), Marco Ferrando, Paolo Piacenza e Celeste Satta del Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” di Torino. Una fotografia complessa, che coglie un sistema dell’informazione attraversato da tensioni profonde: fiducia fragile, interesse in calo, uso frequente ma superficiale delle notizie. Un ecosistema informativo che appare in bilico tra obsolescenza e resilienza.
L’interesse degli italiani per le notizie è in costante discesa: dal 74% del 2016 al 39% del 2025. Si tratta di un crollo tra i più marcati nei sei Paesi analizzati, insieme a Regno Unito e Francia. Tuttavia, e qui si delinea il cosiddetto “paradosso italiano”, il 59% degli italiani dichiara di consultare notizie più volte al giorno, secondo solo alla Finlandia.
Un comportamento che evidenzia una fruizione frammentaria, spesso dettata dagli algoritmi più che da una scelta consapevole, e che solleva interrogativi sulla qualità dell’engagement: sebbene molti italiani “consumino” notizie, lo fanno spesso in maniera disattenta, scrollando sui social, ricevendo notifiche, intercettando titoli senza approfondire.
La televisione continua a essere la fonte primaria per oltre la metà degli italiani (51%), con un uso settimanale al 66%. L’Italia è l’unico paese tra quelli analizzati dove la TV mantiene questo primato. I media online faticano a imporsi: solo il 17% considera i social come fonte principale, mentre i siti web di quotidiani o radiotelevisioni si fermano tra l’8% e il 5%. La carta stampata è ormai residuale: appena il 2% la identifica come fonte principale.
Nonostante l’espansione delle tecnologie digitali, l’accesso diretto ai siti di notizie è calato dal 27% nel 2017 al 16%. Cresce invece l’intermediazione di motori di ricerca (20%), social media (22%) e aggregatori di contenuti (9%).
Eppure, in questo panorama dominato dalla Tv, alcune testate native digitali e storici brand editoriali in fase di rinnovamento riescono a farsi largo, intercettando segmenti di pubblico con formati agili, community fidelizzate e una presenza strategica sulle piattaforme.
Dopo anni di erosione, la fiducia nelle notizie risale lievemente al 36%. Un dato ancora basso, ma che indica un possibile margine di recupero. Le testate ritenute “poco schierate” sono le più apprezzate, così come le fonti tradizionali come la TV (43%) e i siti delle emittenti radiotelevisive (40%).
Preoccupante, però, è la diffidenza trasversale: il 28% degli italiani considera i giornalisti tra i principali veicoli di disinformazione, superati solo da influencer (42%) e politici (37%). Segue un’attenzione crescente verso i rischi legati ai contenuti non moderati, soprattutto su piattaforme come TikTok e Facebook.
In Italia, la preoccupazione per la disinformazione è stabile al 54%, con valori più alti tra chi ha istruzione elevata e si colloca politicamente al centro o a sinistra. Emergono forti preoccupazioni verso influencer e leader politici come principali fonti di fake news, mentre sorprende che i siti di fact-checking siano ancora poco utilizzati, quasi al pari dei chatbot di intelligenza artificiale.
A pesare è anche un grave deficit di alfabetizzazione mediatica: solo il 17% degli italiani ha partecipato a iniziative di news literacy, contro una media globale più alta. È un limite che ostacola la comprensione dei meccanismi dell’informazione e amplifica la sfiducia.
Un dato incoraggiante arriva dal territorio: l’81% degli italiani è interessato all’informazione di prossimità, con la cronaca nera in testa (58%). Le testate locali, spesso considerate marginali nel dibattito nazionale, si rivelano invece strategiche: presidi di fiducia e laboratori per sperimentare nuove modalità di racconto e coinvolgimento, capaci di colmare vuoti lasciati dalle grandi piattaforme.
La news avoidance – ovvero l’evitamento deliberato delle notizie – coinvolge oggi il 33% degli italiani. Un fenomeno che colpisce soprattutto persone con basso reddito o istruzione, e che si motiva con la sovraesposizione a temi stressanti come guerre, politica e crisi. Le donne evitano per proteggere il proprio benessere emotivo, gli uomini per scetticismo verso la qualità dell’informazione.
Solo il 9% degli italiani ha pagato per leggere notizie online, il dato più basso tra i paesi analizzati. La disponibilità a farlo resta scarsa anche in prospettiva: il 69% di chi non paga dichiara che nessuna offerta lo convincerebbe. L’unico incentivo che riceve un certo consenso è il “bundle” multi-testata a prezzo contenuto.
I social media si confermano centrali ma in evoluzione. Facebook resta il più usato per le news (36%), ma è in netto calo rispetto al 2020. Crescono invece Instagram (22%), YouTube (20%) e TikTok (10%), soprattutto tra i giovani. Il 52% degli utenti presta attenzione alle fonti professionali, ma aumenta la quota che si affida a creator e influencer, segno di una ridefinizione dei ruoli nella produzione e diffusione delle notizie.
Eppure, il testo scritto resta il formato preferito per informarsi (55%), superando nettamente video (21%) e audio (11%). I podcast, sebbene in crescita, restano una nicchia: solo il 6% li ascolta settimanalmente, anche se tra i giovani e le fasce più istruite la percentuale raddoppia.
Il Digital News Report Italia 2025 disegna un paesaggio informativo sfaccettato, fatto di contraddizioni e transizioni. Se da un lato la sfiducia, l’assenza di alfabetizzazione e la frammentazione dell’attenzione sono segnali d’allarme, dall’altro lato emergono possibilità concrete: l’informazione locale, l’innovazione digitale, il recupero del rapporto di fiducia tra giornalisti e pubblico, e perfino l’uso consapevole dell’intelligenza artificiale.
A condizione, però, di ripensare il come e il dove raccontiamo le notizie. Solo così sarà possibile trasformare il consumo distratto in partecipazione attiva e consapevole, superando un presente incerto per dare un futuro all’informazione.