“Unicore mi ha permesso di ottenere la libertà”. Per il significato intrinseco dell’affermazione ci si potrebbe fermare qui. Se non fosse che la testimonianza di chi questa frase l’ha pronunciata ha ancora più valore e definisce i contorni e gli orizzonti di questa libertà. Cleodicee Juru ha 29 anni, è di nazionalità rwandese ma è nata a Goma, nella Repubblica democratica del Congo.
È arrivata a Napoli nel dicembre 2022, ormai tre anni fa, grazie al progetto University Corridors for Refugees (appunto Unicore) di UNHCR Italia. L’iniziativa offre a giovani rifugiati la possibilità di accedere a percorsi universitari sicuri, garantendo visti per motivi di studio – finora ha coinvolto 38 università italiane e ha supportato 142 studentesse e studenti.
Il prossimo 22 ottobre Cleo diventerà dottoressa Magistrale di International Relations dopo che avrà discusso la sua tesi, dal titolo ‘The criminalization of solidarity at sea and migration in italian anti-migration policies’, relatrice la prof.ssa Anna Liguori, correlatrice la prof.ssa Adele Del Guercio.
Ad Ateneapoli ha raccontato la sua storia ed è partita da ciò che le veniva negato nel suo Paese d’origine: il diritto allo studio, perché donna. “In Africa solo il 40% delle donne ha accesso all’istruzione e in tante sono costrette a fermarsi alla scuola media. Io stessa ho dovuto lottare e per questo, come volontaria per l’UNHCR, motivavo le ragazze ad andare a scuola e a non abbandonare.
Ed è qui la vera differenza tra la mia vita lì e quella in Italia: non dovermi giustificare nei confronti della società e di chi mi sta intorno sul perché io voglia studiare. Qui sono libera. Di esprimermi e di fare ciò che desidero”. La città le piace – “trovo Napoli più bella di Roma e Milano” – vive in uno studentato Adisurc, dal punto di vista accademico si trova a suo agio: “mi trovo molto bene sia con i professori che con i colleghi”.
Ma all’esterno delle mura universitarie le difficoltà non mancano. Preferisce esprimersi in inglese, ma alla domanda “com’è vivere in Italia?”, la studentessa risponde in italiano con un laconico “così così”. Ha spiegato: “la prima sfida che ho dovuto affrontare è stata proprio fare i conti con la lingua, ho avuto problemi di comunicazione quotidiani nel fare la spesa, nel prendere i mezzi.
Per fortuna l’università e i miei colleghi studenti mi hanno dato una grossa mano a integrarmi” – attualmente L’Orientale mette a disposizione degli studenti rifugiati una borsa di studio finanziata dall’Ateneo, un alloggio presso la residenza universitaria, l’esonero dalle tasse universitarie, un corso di lingua italiana al CLAOR e supporto all’integrazione da parte dei soggetti partner, ovvero Diaconia Valdese, Caritas Diocesana, CIAC e ASDA. C’è, però, una parte del racconto di Cleo che non ha a che fare solo con le difficoltà di ambientamento, ma con qualcosa di ben peggiore e radicato.
Anzi, incancrenito. “Mi è capitato di vivere episodi di razzismo, molte volte. Nei bus, per esempio, capita che nessuno si sieda accanto a me o che le persone si allontanino per paura di essere derubate. E mi capita pure di essere ignorata quando chiedo indicazioni”. Cleo però ci tiene a precisare che tutto ciò “non avviene negli uffici o all’università, dove non ha riscontrato razzismo, ma in certi luoghi pubblici”.
Ben oltre tutto, la studentessa ha un sogno e intende perseguirlo con convinzione: “voglio rendere il mondo un posto migliore per le donne”. Dal proprio percorso ha imparato che “tutto è possibile, fin quando ci si sforza nel perseguire i propri obiettivi. E non importa quale sia il genere di appartenenza e da dove si provenga”. E nel suo caso specifico, l’impegno è indirizzato a diventare una “policy maker” per occuparsi di “diritti delle donne proponendo e implementando politiche in nostra difesa e che promuovano l’emancipazione tanto nel mondo del lavoro che nella società tutta”.
Claudio Tranchino
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Ateneapoli – n.16 – 2025 – Pagina 36